“I ritratti, le storie, le donne..." mostra fotografica di Peppino Romano
“Peppino Romano presenta una serie di ritratti femminili che colpiscono nell’immediato chi li osserva. Senza bisogno di inutili orpelli comunicano in maniera diretta, limpida ed imprimono sensazioni concrete nel loro essere significativamente intriganti. Da ogni scatto emerge un’ intensità potente, una ricerca dell’essenza, la capacità di fermare in un solo attimo uno stato emozionale, ma soprattutto ogni singola espressione raffigurata sa restituire la complessità di una soggettività, un aspetto questo che rende vero ogni particolare sublimandolo ed innalzandolo ad un piano di universalità. Tutte queste foto raccontano il connubio tra il fotografo e la donna protagonista, rendendoli entrambi presenti nell’opera realizzata. L’artista capace di carpire vissuti, sguardi, sensazioni, vibrazioni sfuggenti, forza, sensualità, sorrisi accennati, sentimenti forti e travolgenti, o quelli delicati, imperscrutabili, da leggere tra le righe e scoprire in diversificate osservazioni. La protagonista, la donna ritratta, emerge in tutta la sua verità, scomposta e ricomposta dall’occhio del fotografo che è in grado di presentarla nella sua interezza, avvolta da un certo mistero, ma sempre viva, reale, sincera. Il bianco e nero prevale sui colori sospendendo in parte la dimensione spaziotemporale e regalando un senso di assolutezza a questi scatti. E’ evidente la naturalezza di questo fotografo nel cogliere frammenti reali dell’animo umano, nello specifico della donna, i suoi mutamenti e le evoluzioni psicologiche, attitudine innata accresciuta grazie anche ad un’ esperienza ventennale nel mondo della fotografia.”
Donna in-colore mostra personale di Piera Ingargiola
Sabato 26 Settembre 2015 alle ore 19.00 si inaugura al Margaret Café di Terrasini la mostra personale di Piera Ingargiola intitolata “Donna in-colore” promossa dall’associazione AsaDin. Progetto allestimento Calabretta Giovanna – testi e presentazione Trapani Calabretta.
L’evento aderisce all’ Undicesima Giornata del Contemporaneo indetta da AMACI. (http://www.amaci.org/gdc/undicesima-edizione/donna-incolore-di-piera-ingargiola)
La mostra sarà visitabile tutti i giorni dalle 9.00 alle 23.00 fino al 10 Ottobre 2015 presso la sala espositiva del Margaret Café in Via V. Madonia 93 a Terrasini (PA).
La donna che emerge dalle opere di Piera Ingargiola non è semplicemente colorata, è una donna che viene attraversata e che attraversa il colore, una “donna nel colore”, plasmata da cromie differenti che la percorrono rendendola ciò che è. Lamine, macchie, strisce più o meno sottili compongono e scompongono primi piani femminili mostrandone tutte le possibili sfaccettature estetiche, emotive e cerebrali.
Ne emerge la complessità di ogni donna, le sue esplosioni e le implosioni. Sguardi a volte bassi, a volte assenti, ma complessivamente fieri donano l’immagine di una donna sicura di sé, il dolore la lambisce ma emerge maggiormente la forza e la vitalità di chi sceglie una vita in ascesa, come una scala in salita.
Il dolore invece è fissato, immobilizzato nell’immagine che affiora, come fosse parte di un patrimonio genetico e mentale, del cretto di Gibellina. Luogo molto noto a questa artista, nel quale il dolore è imprigionato e diventa simbolo di una violenza assordante, statica, inevitabile, scolpita per sempre nella memoria individuale e storica, che di sovente invece si diluisce fino a scomparire del tutto, sgretolata come le macerie dei ruderi di una città crollata, emblema della vita di tanti. In questo dolore c’è però la rinascita.
La donna di Piera Ingargiola cammina o forse plana sul cretto di Burri indossando delle scarpe rosse in pieno contrasto con quel bianco privo di vita. E’ chiaro che l’immaginario di questa artista e donna sia stato profondamente colpito dalle vicende che caratterizzano la realtà degli ultimi anni, in cui la forza della donna, il suo spirito di indipendenza, il bisogno di liberazione e di autenticità si è dovuto spesso scontrare con una logica del possesso, con tradizioni ataviche e non del tutto superate, con paure e frustrazioni che permeano non solo il genere maschile, ma la società più complessivamente, in un momento di cambiamento come quello attuale.
Un inizio di mutamenti che lascia purtroppo forti segni nella vita e nei corpi di molte donne. Sorelle che spesso sono incasellate come vittime, ma che non ricevono una profonda solidarietà, anche dalle donne stesse. Una vittimizzazione che alimenta paure, sospetti, ripiegamenti e lacrime anestetizzanti si sostituisce spesso ad una possibile voglia di cambiamento, al coraggio di trasformare il modo di concepire la vita, ad una reale riflessione sui sentimenti umani, ad un autentico sostegno a vivere felicemente. C’è quindi una velata denuncia in queste opere, ma soprattutto un omaggio alla donna che lotta, che sorride, una donna complessa, sensuale, che cammina, che gioisce, che spera, che ama, libera di essere se stessa.
pubblicato su http://www.cinisionline.it/2015/09/24/donna-in-colore-mostra-personale-di-piera-ingargiola/17758
“Odissea – Movimento n° 1”, in scena i 23 allievi-attori di Emma Dante. Un successo meritato.
Si sono appena concluse le repliche nella città di Palermo dello spettacolo teatrale “Odissea – Movimento n° 1” con la regia di Emma Dante, che ha avuto come protagonisti gli allievi della “Scuola dei mestieri dello spettacolo” del Teatro Biondo (foto copertina da palermo.repubblica.it).
“E’ una sensazione rinfrancante quando la nostra terra riesce a dar luce e valore ai veri talenti che ha generato e che non senza difficoltà si trovano a cercare una strada per dare espressione al proprio spessore culturale e artistico, non sempre facilmente riconosciuto e gratificato, che invece potrebbe essere nutrimento e spinta propulsiva per la crescita di tutta la collettività”.
La rappresentazione ha avuto luogo a Villa Pantelleria dal 20 al 31 luglio, riscuotendo un ottimo successo di critica e di pubblico e facendo esaurire i biglietti disponibili in poco tempo. Si è trattato di uno studio innovativo ispirato e ripreso liberamente dal poema omerico. Lo spettacolo, risultato del primo anno di corso agli attori allievi della scuola del teatro biondo diretta da Emma Dante, ha affrontato il mito di Ulisse attraverso l’esperienza dell’attesa vissuta da Penelope e Telemaco. Un classico reinterpretato secondo lo stile ironico, dissacratorio e visionario della regista palermitana Emma Dante.
In scena i ventitre giovani attori-allievi Manuela Boncaldo, Sara Calvario, Toty Cannova, Silvia Casamassima, Domenico Ciaramitaro, Mariagiulia Colace, Francesco Cusumano, Federica D’Amore, Clara De Rose, Bruno Di Chiara, Silvia Di Giovanna, Giuseppe Di Raffaele, Marta Franceschelli, Salvatore Galati, Alessandro Ienzi, Francesca Laviosa, Nunzia Lo Presti, Alessandra Pace, Vittorio Pissacroia, Lorenzo Randazzo, Simona Sciarabba, Giuditta Vasile, Claudio Zappalà.
Tra loro anche il giovane attore di Cinisi, Lorenzo Randazzo, che ha iniziato la sua carriera cinematografica con “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, continuando poi a recitare ne “Il principe e il pirata”, “Alla luce del sole”, “Fantasmi nel sud”, “Eravamo solo mille” e che adesso sta approfondendo il suo impegno di attore nella scuola di Emma Dante.
Lo spettacolo “Odissea – Movimento n° 1”, dopo il successo palermitano, sarà replicato a Vicenza, il 26 e 27 settembre, per il 68° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico.
pubblicato su http://www.cinisionline.it/2015/08/03/odissea-movimento-n-1-in-scena-i-23-allievi-attori-di-emma-dante-un-successo-meritato/16529
Antonino G. Perricone, talento artistico e tempra umana
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Il 24 giugno 2015 leggo un post su Facebook scritto dalla pittrice Antonella Affronti: “Antonino G. Perricone se n’è andato”, poche parole che comunicano una grande tristezza.
Antonino G. Perricone è stato un grande disegnatore, incisore, scultore, pittore, punto di riferimento per l’arte contemporanea siciliana e, se pur per pochi anni, anche gallerista, ma soprattutto è stato un uomo ed artista dal carattere deciso e tenace, questo è quello che emerge dalle sue opere e dai racconti degli amici e di chi ha condiviso con lui lunghi tratti del suo significativo cammino artistico.
Ho conosciuto personalmente Antonino G. Perricone in due occasioni legate alla mostra collettiva “Ci vediamo al Margaret Cafè”, prodotta dalla Galleria Studio 71 di Palermo, nella quale era esposto anche un suo quadro. La prima volta al Margaret Cafè di Terrasini il 5 dicembre 2014, e poi a marzo del 2015, quando la mostra si spostò a Palermo alla Libreria del Mare. In entrambe le occasioni, per timidezza, grande emozione e riguardo nei suoi confronti, non ebbi modo di parlargli o rivolgergli qualche domanda, come avrei voluto, però nella seconda occasione che lo vidi, mi trovai coinvolta in un piccolo momento scherzoso durante il quale, sorridente, ci raccontava che da ragazzo portava la barba, poi tolta per amore della moglie. In quel momento, quell’aria apparentemente burbera lasciò spazio alla simpatia e ad uno sguardo dolce, di uomo, se pur sofferente, ricco di un grande carattere. Un piccolo ricordo che tengo caro.
Antonino G. Perricone era nato a Carini (PA) nel 1933 e fin da adolescente si era formato da autodidatta come disegnatore e pittore cominciando ad esporre già a partire dal 1955. Durante il suo percorso artistico, coinvolto dal clima di fervore culturale che si respirava, aprì a Palermo una Galleria d’arte chiamata “El Harca”, erano gli anni tra il 1963 ed il 1968.
Durante tutta la sua vita ha lavorato incessantemente alla propria ricerca pittorica. Nel 1965 costituì la scuola pittorica dei mate-cromatici insieme ad Angelo Denaro, Giovanni Leto, Giovanni Antioco e Nino Caruso, una scuola che si ispirava all’idea di come l’attività dell’uomo stesse causando la distruzione del mondo, così come il titolo stesso di una mostra di Angelo Denaro faceva presagire “Ossido e nickel”, intendendo con ossido il male che corroborava l’esistente e con il nickel quella finta patina che serviva a nascondere la realtà con un’apparenza falsamente luccicante. Una scuola che però non produsse alcuna mostra. Un altro importante sodalizio artistico lo cominciò tanti anni dopo, nel 2005, con Antonella Affronti e Totò Vitrano con i quali fondò un gruppo denominato “gruppoerre”. Le sue tantissime opere sono presenti in collezioni pubbliche e musei d’arte contemporanea in Italia e all’estero. Negli anni ottanta Antonino G. Perricone si avvicinò alla Galleria d’arte Studio 71 guidata da Francesco M. Scorsone con il quale si costituì un legame artistico e umano portato avanti per tutti gli anni a seguire, fino ai suoi ultimi giorni di vita, un rapporto di grande stima ed amicizia che poi è conseguito nella scelta che l’artista fece nel 2014 di affidare proprio a Francesco M. Scorsone la cura dell’immenso patrimonio artistico conservato nel suo studio, che volle donare alla collettività, in coerenza con la sua vita dedicata all’arte.
Giorno 17 luglio la collettiva “Ci vediamo al Margaret Cafè” ritornava alla sua sede iniziale, il Margaret Cafè, dopo essere stata ospitata nella sala espositiva di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato a Cinisi e alla Libreria del Mare a Palermo. Questa mostra, a meno di un mese dalla scomparsa di questo pittore così importante per la crescita culturale del panorama artistico siciliano, per volere di tutti gli artisti e amici, è stata dedicata proprio a Nino Perricone. Il suo piccolo ma energetico quadro era al centro della sala ed il suo ricordo nelle parole dei suoi compagni di avventura, se pur tristi, sempre pronti a raccontare episodi che mettevano in luce il suo contributo al mondo dell’arte e quella tempra di uomo deciso ed energico.
Durante questa giornata ho avuto l’occasione di parlare con Francesco Marcello Scorsone per farmi raccontare un po’ del percorso di questo maestro che con la sua ricerca costante ha dato un contributo di bellezza vera e profonda alla sua terra, la Sicilia, mai abbandonata, che però troppo spesso non sa riconoscere e valorizzare chi ha contribuito alla sua crescita intellettuale e valoriale.
Comincio una chiacchierata dove, dopo poche frasi, riesco a sentire presente e forte il ricordo di una di quelle amicizie vere, sanguigne, tra persone carismatiche, fatte di interessi comuni, scambi, crescite, evoluzioni, polemiche, discussioni appassionate, mai banali e sempre interessanti. Perricone mi viene raccontato così, come una persona forte, che non accettava compromessi, che credeva nell’arte, nel talento vero e non quello fatto solo di pubbliche relazioni ed esibizionismi. Un artista senza mezzi termini che prendeva sul serio il proprio lavoro creativo e che non lesinava di dire quello che pensava, anche se più che alle polemiche ed agli sterili pettegolezzi preferiva dedicarsi al proprio lavoro.
Antonino G. Perricone nel 2014 fece una mostra di disegni intitolata “Quando il segno diventa disegno”. Negli ultimi anni si dedicò maggiormente al disegno perché era troppo faticoso per lui continuare a dipingere o ci fu un cambiamento nella sua ricerca artistica? Fu comunque più un disegnatore o un pittore?
“Lui veramente ha sempre disegnato, esistono delle sue bellissime incisioni. E’ stato sempre un disegnatore, era un disegnatore maniacale e molto preciso, anche nei disegni degli anni passati c’è questa caratteristica, la meticolosità”.
Come è nato il vostro rapporto nella Galleria studio 71?
“Il nostro rapporto è nato a Palermo quando ancora la sede della Galleria era in Via Terrasanta, un giorno si presentò accompagnato da Aurelio Caruso, era il 1983. Mi propose una mostra a “condizioni singolari””.
Mi incuriosisce il tono scherzoso di quest’ultima affermazione. In che senso “condizioni singolari”?
“Siccome lui partiva dal fatto che era stato anche un gallerista, pensava di trovare in me un collega. Io che non conoscevo i suoi trascorsi, mi trincerai dietro il fatto che ero io quello che avrei dovuto gestire, insomma “il pallino lo volevo tenere io”, questo lo disturbò parecchio e così andò via. Però qualche anno dopo ci siamo rivisti. In seguito curai una sua bellissima mostra patrocinata dalla Provincia di Palermo che fu ospitata al Centro Direzionale della Provincia di Palermo dal titolo: “Effeméridi (Una magnifica ossessione)”. Allora è cominciato il nostro rapporto molto stretto e curai parecchie sue mostre”.
La vostra è diventata anche un’amicizia oltre che un sodalizio artistico?
“E’ diventata un’amicizia, un’ottima amicizia al punto che due anni prima che morisse mi diede mandato per dare in pubblica dispersione l’intera sua collezione”.
So che fu una decisione di Perricone quella di non lasciare nulla alla Città di Palermo (intesa nelle sue istituzioni), mi è sembrato di capire che sentì il peso di non essere stato riconosciuto dalle Istituzioni?
“Decisamente sentiva questo peso che sembrava si fosse affievolito quando la Provincia di Palermo patrocinò questa mostra, ma successivamente questa sensazione si ripropose. Lui era un soggetto difficile, sgusciante come si suol dire”.
La sua frattura ed incompatibilità con le Istituzioni locali nasceva dalla crisi culturale e da una situazione generale che non sostiene ed incentiva l’arte o era legata a lui in particolare?
“Perricone i quadri li vendeva, anche molti, ma il suo prezzo non decollava alla stessa stregua di altri perché era un pittore difficile”.
Difficile nella relazione con la politica?
“Si, era molto duro nei confronti della politica e delle istituzioni più in generale. Era abbastanza critico, ma anche io non è che risparmio critiche alla politica, anche se è facile buttare sempre tutto in politica”.
Aveva un carattere deciso?
“Deciso, infatti ancora oggi non mi riesco a capacitare della grande fiducia che mi diede ad affidarmi la cura del suo patrimonio artistico. Quando sono entrato nel suo studio c’erano tanti di quei quadri, 400 grandi e un migliaio piccoli, una cosa enorme, li abbiamo fotografati e distribuiti, a Carini, Sant’Angelo di Brolo…”.
Ma non a Palermo.
“A Palermo niente, ma io stesso glielo sconsigliai. Ne abbiamo dati però un paio alla fondazione Tule di Tommaso Romano che fu colui che volle fare quella mostra patrocinata dalla Provincia”.
Le istituzioni non lo hanno tributato nemmeno dopo la sua morte. Un silenzio comunque troppo assordante verso chi ha speso la vita nella ricerca artistica, che ha dato un contributo all’arte contemporanea siciliana, creando anche una galleria e facendosi fautore di un premio per le accademie, divenendo, come lo stesso Francesco Marcello Scorsone mi racconta durante l’intervista, un riferimento certo per i giovani di allora. Continuo a cercare di capire.
Perché questo mutismo?
“Le risposte sono tante, alcune vanno ricercate anche nelle sue amicizie. Lui ebbe molti amici, ma a nessuno volle mai chiedere niente, avrebbe potuto chiede una sponsorizzazione di una mostra, ma niente, non voleva. Contava molto nel fatto che qualcuno prima o poi gli avrebbe riconosciuto il suo valore. Eppure ebbe vari riconoscimenti di amici e critici d’arte, come Aldo Gerbino, Francesco Carbone che invitammo a delle presentazioni, come quella di una sua unica opera d’arte in Galleria. Nel corso del 2003 presentammo per la prima volta la sua nuova opera di grande formato, di 3 metri per 4, che poi ho voluto donare alla Fondazione La Verde La Malfa di San Giovanni La Punta (CT), perché un’opera di così tanto valore doveva avere un certo riconoscimento e non essere lasciata nelle mani di privati. Un’altra mostra istituzionale oltre quella di Palermo, presentata con un catalogo molto bello e corposo, la fece nel 2004 nel Comune di Marsala, presso L’Auditorium Santa Cecilia, una mostra interessantissima perché dedicata al blu, dal titolo: “Il Viaggio…” con il testo in catalogo di Vinny Scorsone”.
Torniamo agli anni passati, come nacque la scuola dei mate cromatici?
“Perricone era uno degli autori della scuola dei mate cromatici insieme ad Angelo Denaro, Giovanni Leto, Giovanni Antioco e Nino Caruso. La nascita di questo gruppo fu quasi casuale. Denaro faceva delle saldature (vedi mostra Ossido e nickel) le scolature della saldatura assumevano delle forme interessanti. Erano gli anni dell’informale, gli anni 60, c’era questa mentalità e da lì cominciarono quasi per gioco quella che poi diventò una cosa seria. Però come molti altri gruppi di quegli anni, non fecero mai una mostra insieme”.
Quando si sono sciolti?
“Si sono sciolti con la chiusura della Galleria. Devo dire che gruppi molto importanti si sono separati senza avere fatto mai mostre insieme, come Forma 1, gruppo di cui facevano parte Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato. Erano gruppi che nascevano e si polverizzavano così come nascevano”.
Nascevano più dalla voglia di lavorare insieme e fare arte, che da quella di esporre?
“Ogni artista pensava di avere la verità in mano e affermare un principio di cui gli altri non erano all’altezza. In Galleria avvenivano tante diatribe tra gli artisti”.
Conflitti tra artisti che come emerge da questi racconti però portavano ad una crescita collettiva e ad elaborazioni comuni, oltre che a legami veri che si mantenevano nel tempo.
Leggendo alcuni commenti su Facebook scritti dagli amici ed estimatori di Nino Perricone, ho colto che c’è una grande esigenza di fare una mostra in suo ricordo, si realizzerà?
“Ho molti quadri suoi, qualcuno molto grande, penso di prepararla per il suo anniversario di morte. C’è questa esigenza da più parti, ma le cose se le fai di fretta dubito che riescano bene”.
Un ultimo ricordo di Antonino G. Perricone.
“L’ultima cosa che ricordo di Nino Perricone è una cosa abbastanza singolare. Lui era ricoverato all’Ingrassia, lo andai a trovare la domenica e mi disse: “Ma che sei venuto a fare? Te ne devi andare.” E’ morto il martedì. Non amava farsi vedere in quelle condizioni, era fatto così, come tutti gli uomini di carattere: “Il dolore è una cosa personale, non lo voglio condividere con nessuno”. Io invece penso che non si debba mai avere paura e vergogna della malattia, fa parte di noi, della vita. Questo aspetto però lo caratterizzò sempre, cercava di nascondere il suo problema di salute e di mostrare agli altri che stava bene, era parte della sua personalità”.
Un artista forte ed energetico come le sue opere che lo caratterizzarono durante la gran parte degli anni della sua elaborazione artistica, quei nastri ondulati, monocromatici, materici, quasi metallici, voluttuosi ma forti ed incorruttibili come l’acciaio ed intensi come i colori rossi, blu, verde, oro. Colori e forme che negli ultimi anni cominciò ad abbandonare forse alla ricerca di nuovi percorsi o per una energia fisica che si andava affievolendo, ma mai del tutto. Mi piace salutare questo pittore con le significative parole estratte da un testo scritto dal critico d’arte Vinny Scorsone:
“Onde magnetiche che forgiano e trasformano accendendo di forza generatrice ogni cosa che incontrano. Perricone “scrive” inquietudini esistenziali. Ogni opera è un racconto sempre nuovo composto da fremiti e urla silenziose…”.
pubblicato su http://www.cinisionline.it/2015/07/30/antonino-g-perricone-talento-artistico-e-tempra-umana/16331
“Rosalia la più bella”, un racconto di una mostra dedicata alla Santuzza di Palermo
In questi giorni a Palermo ho avuto modo di visitare la mostra “Rosalia la più bella” inaugurata il 9 luglio 2015 presso la Cattedrale di Palermo, ideata da Francesco M. Scorsone e Loreto Capizzi, visitabile fino al 31 Luglio 2015.
“Mediterraneo, fossa comune”, il racconto del Recital e le parole intense di Emilia Ricotti
“Mediterraneo, fossa comune”, svoltosi lo scorso 27 Giugno, è stato un Recital di poesie, pensato e realizzato dalla professoressa, scrittrice e drammaturga Emilia Ricotti, organizzato grazie all’ associazione Simposium di Terrasini.
Eravamo ospitati nel meraviglioso scenario offerto da Torre Alba. Di fronte a noi solo la torre ed uno di quei suggestivi tramonti che soltanto a Terrasini si possono vedere.
Tante persone hanno partecipato a questo momento di riflessione collettiva ed in un sabato sera non era certo una cosa scontata, anche per questo il risultato assume un senso ancora più forte. Emilia Ricotti inizia a leggere i suoi versi che raccontano il dramma di Lampedusa, dei morti in mare. Ogni parola è come una lama che incide e fa sentire il dolore di tante persone su ognuno di noi, sono però parole di cura, fanno male, ma ci ricongiungono col nostro senso di essere/i umani. Raccontano lo sfruttamento del popolo africano e la tragedia di chi sceglie di fuggire da questi luoghi depredati.
Il recital di poesie si è avvalso anche del contributo della professoressa Gabriella Criscione e dei poeti e poetesse che fanno parte dell’associazione Simposium, che in questo caso sono stati invitati a leggere le poesie di Emilia Ricotti, a partire da VeronicaGiuseppina Billone che ha anche introdotto la serata, iniziata con i ritmi e le percussioni del gruppo di musica etnica della scuola Latidou. All’interno della Torre era presente la mostra fotografica di Emilia Ricotti, frutto della sua esperienza diretta a Lampedusa ed una mostra di pittura di “Donne migranti”, la mia. Le fotografie venivano anche proiettate durante la lettura dei brani.
Nel corso della serata abbiamo potuto ascoltare l’intervento dell’Assessore Rosa Maria Viviano che ha raccontato l’esperienza del padre emigrato in America ed il ricordo dei tanti emigranti siciliani, non tanto distante da quello che vivono oggi gli immigrati in Europa e ha dato un messaggio di solidarietà. Abbiamo avuto anche due testimonianze dirette, quella della pedagogista Rosa Nobile che lavora presso una comunità per minori stranieri non accompagnati, che ha raccontato le difficoltà, ma anche le speranze di alcuni giovani che sbarcano e trovano accoglienza presso strutture che cercano di inserire i ragazzi e dare loro un futuro dignitoso, e quella del Dott. Gaetano Roccuzzu che da alcuni anni, all’interno delle forze dell’ordine, si occupa di immigrazione ed ha parlato del dramma di chi intraprende questi viaggi della speranza e della necessità di scelte politiche che possano, da un lato dare un sostegno ai paesi da cui parte quest’esodo di disperati e dall’altro la possibilità di regolarizzare la situazione dei profughi prima che si imbrachino verso l’Europa, affinchè possano viaggiare in situazioni di sicurezza e non nei barconi dove spesso sono costretti a salire per poi trovare la morte in mare.
Poi sono ricominciati i versi toccanti, ed infine i ritmi coinvolgenti dei tamburi.
A fine serata una intensa chiacchierata con Emilia Ricotti.
Come nasce il tuo interesse per il tema dell’immigrazione e per l’Africa in particolare? Hai avuto un contatto diretto con questo mondo, con i popoli africani? Sei mai stata in Africa?
Si, parecchie volte. Sono stata in Kenia tre volte. In questi viaggi ho cercato di vivere fuori dai “Resort”, dove si dormiva solamente. Mi piaceva conoscere il resto. Ormai è diventato un po’ pericoloso e mi dispiace non poter più vivere quelle esperienze. Stando tra la gente ti accorgi di quanto la realtà non corrisponda con quello che hai visto alla tv. Andando in Africa non mi sarei mai aspettata di trovare l’80-90% della gente che vive nelle capanne. In Kenia, a due passi dai Resort a 4 o 5 stelle, appena ti allontani trovi tutt’altro e questa è una situazione generale. E’ un colpo. Parliamo di paesi che vivono di turismo. Lo stesso succede al Cairo. Questa esperienza diretta è stata il motivo dominante per cui si è rafforzata la mia curiosità verso gli sbarchi. In televisione ti fanno vedere solo un flash
Quindi hai deciso di andare a Lampedusa?
Questo flash non mi bastava e ho prenotato il volo aereo. Alcune persone mi chiedevano: “Ma tu cosa vai a fare? Non sei un addetto ai lavori, non hai titolo”. Poi ho avuto l’opportunità di vedere quando erano in 5000 sulla famosa “Collina del disonore” nel 2011. Da una parte c’era questa sofferenza enorme, dall’altra la sofferenza dei lampedusani, schiacciati da tutto ciò. A Milano, in questi giorni, hanno avuto problemi con 100, 200, 300 immigrati. A Lampedusa ho visto 5000 persone che non sapevano dove dormire, stavano così, all’addiaccio. L’esperienza ti porta a conoscere, ed anche la storia. Quando insegnavo, ho trentasette anni di servizio, davanti ad un’alunna di colore, mi è capitato di dover spiegare il “commercio triangolare” (il riferimento è allo scambio di “merci” cominciato nel XVI secolo fra l’America, l’Africa e l’Europa. L’Europa forniva all’Africa tessuti, armi e prodotti finiti, l’Africa forniva schiavi che poi venivano portati in America e quest’ultima forniva materie prime e prodotti coloniali all’Europa). Io mi vergognavo, il commercio triangolare parla dell’Africa, un continente spolpato e poi andiamo a cercare le motivazioni di questo esodo? Come descrivo nell’introduzione alla mostra fotografica, riguardo l’uranio in Niger, visto che si parla di libero mercato, avrebbero potuto venderlo al miglior prezzo, e invece no. Il Niger era una colonia francese e quindi c’è stato l’interesse preponderante di Areva, la multinazionale francese che opera nel campo dell’energia nucleare. Vi riporto un dato che è sull’Espresso di questa settimana. Il 95% dei nigeriani non ha accesso all’elettricità e il restante 5% ce l’ha in maniera non fluente. In Francia un’industria su tre, un ospedale su tre, una lampadina su tre si accende con l’energia dell’uranio che proviene dal Niger. Spolpiamo questi popoli e poi facciamo il discorso di “aiutarli lì”. Li vogliamo aiutare? Basta non spolparli.
Come è nata, all’interno di questa iniziativa che hai proposto, che consiste in letture di poesie e mostra fotografica, l’idea di coniugare l’immagine con la parola?
E’ nata perché soprattutto i ragazzi vivono di immagini. Per rapportarti con loro. Ad esempio a scuola abbiamo realizzato una piccola mostra che faceva parte di un’idea, un progetto chiamato “Per un pugno di riso”, ognuno rinunciava a qualcosa per dare un contributo e poi adottare un bambino a distanza o un progetto di sviluppo. L’idea di abbinare le foto nasce dal fatto che i ragazzi sono assuefatti all’immagine, allora contrapporre a immagini tante volte vane, un’immagine più significativa, li può aiutare a crescere. Coniugare parole, immagine, musica per potere andare incontro ai ragazzi, per arrivare più in profondità.
Pino Manzella che ha assistito al Reading di poesie ed è insieme a me, Emilia Ricotti e alla professoressa Gabriella Criscione (amica e collega di Emilia Ricotti che ha letto alcuni brani durante la serata), domanda: “in relazione alla scrittura, c’è qualche poeta in particolare a cui si ispira?”.
Insegnavo letteratura italiana. Pensavo che non avrei mai scritto un verso, era questa la mia convinzione ed invece non sono stata io a cercare la poesia, ma è stata la poesia a cercare me. Evidentemente quando si prova qualcosa, le parole vengono da sé.
Le domando se la scelta di legare la poesia all’impegno, di dedicarsi ad una “poesia impegnata” come alcuni poeti hanno fatto, è stata per lei una decisione meditata o è nata dagli eventi che l’hanno coinvolta.
Penso che la poesia non possa non essere legata all’impegno. La poesia non può essere solo di evasione, di solipsismo, solo per guardarsi dentro e raccontare il proprio . La poesia è anche “spostarsi”, è un po’ come quando fotografi. I ragazzi scattano 500 fotografie tutte su di sé. Si dovrebbe cominciare a guardare quello che è l’altro, che poi non necessariamente è l’immigrato, ma l’altro da sé. Io non sono un fotografo, ma i grandi fotografi hanno guardato gli altri.
Pino: “in quali scuole ha insegnato letteratura italiana?”.
Ho insegnato letteratura e storia. Per una decina di anni ho insegnato in Friuli, poi avevo nostalgia della Sicilia e mi sono trasferita. Per certi versi è stato quello che volevo, però tornando in Sicilia ho trovato tante problematicità, quella comparazione mi danneggiava sotto certi aspetti. Poi ho insegnato alcuni anni al Libero grassi, al Marco Polo, al Settimo Itc. etc. Gabriella Criscione, che ho voluto accanto a me questa sera, insieme agli altri poeti del Simposium, che sono stati veramente straordinari, è una collega del Marco Polo.
Mi sembra molto importante questo voler coinvolgere gli amici, gli altri poeti a questa iniziativa. Il desiderio di far partecipare, che si lega al discorso appena fatto sul bisogno di guardare all’altro da sè, non solo a se stessi ed al bisogno di condividere. Approfitto della presenza di Gabriella Criscione che ha direttamente partecipato al Reading, leggendo diversi brani scritti da Emilia Ricotti, e le domando come sia stato per lei, che ha letto con grandissima intensità, partecipare a questa esperienza.
Gabriella Criscione: “ ho partecipato con tanta intensità perché il problema mi coinvolge, perché ho pianto quando ho sentito quello che è successo a Lampedusa. Ho pianto per i bambini e le persone che sono finite in mare. Ancora tutto ciò mi coinvolge, quindi e impossibile non partecipare a questo dramma a questa tragedia che continua, ma nello stesso tempo mi ha fatto piacere la traduzione in poesia, che in qualche modo cerca quasi di cautelare, come se questa ferita piano piano venisse in qualche modo appunto cautelata, accarezzata, nella speranza che si ponga fine definitivamente a questo scempio.
Pino rivolgendosi nuovamente ad Emilia Ricotti: “La poesia che rema contro quello che c’è in Italia per adesso. Ogni giorno accendo la tv e vedo Salvini, leader della Lega, che dalla mattina alla sera ripete slogan razzisti. Si può dire che questo tipo di poesia fa quasi controinformazione?
Io non vorrei entrare nella polemica, che comunque c’è, ma vorrei evitare di farlo. Il mio punto di vista è che ognuno di noi debba tirar fuori la pietà. Questa deve vincere su tutto il resto, la pietà significa “sentire l’altro come noi stessi, sentire il dolore dell’altro come se fosse il nostro”. D’altra parte la storia ci insegna che quando la “Pietas” dei latini si estinse, crollò tutto il resto.
Le domando: “Questo concetto di pietà nasce da una visione cattolica o si può riconoscere anche in una concezione laica dell’esistente?”.
E’ una visione anche laica. Perché dovrebbe essere necessariamente cattolica? Questa visione significa che “io mi metto nei panni degli altri, che capisco”.
Una scelta di empatia.
Si, di empatia. A turno chissà, forse nasceremo una volta in Africa e forse nasceremo una volta qua.
Si spengono le luci e ci salutiamo, è un abbraccio tra noi, ma col cuore rivolto a tutta l’Umanità, soprattutto quella più sofferente, vicina o lontana che sia, vittima, derubata, schiavizzata, impoverita, emarginata, guardata solitamente con paura e diffidenza. Perché se nel mondo c’è un solo essere umano, uomo o donna che sia, povero, schiavo, violentato, oppresso, nessuno di noi sarà mai veramente libero e dignitosamente umano.
“Il Visibile Naturale”, la mostra della pittrice modicana Giovanna Gennaro, a Terrasini
Domenica 14 Giugno si inaugura al Margaret Café di Terrasini la mostra di pittura “Il visibile naturale” di Giovanna Gennaro, a cura dell’associazione AsaDin e di Evelin Costa. La mostra sarà visitabile fino al 27 Giugno 2015 presso la sala espositiva del Margaret Café in Via Madonia 93 a Terrasini (Pa).
“La mia isola. Leggende siciliane” personale di pittura di Naire Feo
Domenica 31 maggio si inaugura al Margaret Café di Terrasini la mostra di pittura “La mia isola. Leggende siciliane” di Naire Feo, a cura dell’associazione AsaDin. La mostra sarà visitabile fino al 13 giugno 2015 presso la sala espositiva del Margaret Café in Via Madonia 93 a Terrasini (Pa).
“Il mare non ha confini”, mostra fotografica di Giuseppe Viviano
Venerdì 31 luglio 2015, alle ore 19.00, si inaugura al Margaret Cafè di Terrasini la mostra fotografica di Giuseppe Viviano “Il mare non ha confini”, a cura dell’associazione Asadin (scarica la locandina dell’evento).
Presentazione del libro “Dì Mattin Diario” di Danilo Fodale e mostra di pittura di Massimiliano Errera
Lo scorso 22 agosto, ho assistito ad un evento promosso dal PB projectche intrecciava teatro, letteratura, musica e pittura, nella terrazza del Palm Beach Hotel di Azzolini a Cinisi, con lo sfondo di un meraviglioso tramonto sul mare.
“La mia isola” di Naire Feo, tra leggenda, realtà e utopia
Incontriamo Naire Feo il giorno dell’inaugurazione della mostra “La mia Isola. Leggende siciliane”. Siamo al Margaret Cafè, in un tavolo all’esterno del bar per respirare il fresco della sera dopo aver trascorso un bel pomeriggio accompagnati dalla vista dei quadri di questa artista siciliana, da letture e dalla musica del Maestro Innocenzo Bua. La nostra più che una vera intervista è una chiacchierata a tre, visto che assieme a me c’è Pino Manzella. Siamo rilassati e sorridenti.
“I colori della terra” di Gilda Gubiotti
Vado ad Alcamo al Centro Congressi Marconi a visitare la mostra “I colori della terra” di Gilda Gubiotti organizzata dall’associazione culturale RicercArte.
Donna vittima e carnefice, attraverso lo sguardo di artisti. Intervista a Vinny Scorsone
All’inaugurazione della seconda tappa della mostra “Virgo et Virago”, che in questi giorni è visitabile presso lo spazio espositivo di “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” in Corso Umberto 183 a Cinisi, incontro la curatrice Vinny Scorsone che ha presentato questa mostra con un testo che analizza la donna da due prospettive differenti, quella di vittima e quella di carnefice.
Il visibile, la pietra e la luce nella pittura cantata di Giovanna Gennaro. Intervista
Certe volte le interviste possono essere un’occasione per fare una discussione piacevole tra amici vecchi e nuovi. Sono con Lidia Vitale, Pino Manzella e Giovanna Gennaro, la pittrice modicana le cui opere in questi giorni sono ospitate al Margaret Cafè di Terrasini. Ascoltiamo la voce di un’artista la cui sensibilità si esprime sia nelle opere che dipinge, che nelle parole che ci regala con toni gentili.
"Io non mi fermo qui"
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