Questo mio articolo non sarà il racconto di chi ha osservato, ma quello di chi ha partecipato ad un momento di grande valore e da questo spirito di “partecipazione” non potrò prescindere, perché il coinvolgimento emotivo e mentale che ho vissuto è stato troppo intenso.
Volo dalla Sicilia alla Sardegna. Un cammino per aria che dura solo quaranta minuti che per me sono eterni, ma il vento che ci accoglie a Cagliari è respiro per i miei sensi. C’è un sole forte. Ci accolgono i sorrisi e l’affetto dei nostri amici sardi, Antonella, Roberta e Davide. Comincia un lungo viaggio in auto verso Macomer. Attraversiamo il cuore della Sardegna in una strada che non è poi così diversa dalle strade siciliane a cui sono abituata, qualche scossone ogni tanto dovuto ad un manto stradale non perfetto, ma niente di che. Mi colpisce lo spazio. Tanto spazio non costruito, vegetazione incolta, ulivi selvatici, molto verde. Potrebbe sembrare un vuoto da riempire ed invece è così pieno di senso.
Macomer è una graziosa cittadina, sembra che “tutto” disti ad almeno un’ora da qui. Molto spazio, appunto. Era una città ricca fino a qualche anno fa. Viveva grazie ad aziende tessili e casearie e poi c’erano le caserme per il CAR con un certo movimento dovuto ai numerosi ospiti che arrivavano per assistere al giuramento militare di qualche figlio o parente. Poi il nulla. La crisi ha fatto chiudere le aziende, non ci sono più le caserme. Almeno 1500 persone in cassa integrazione, un inceneritore che rischia di bloccare il mercato agroalimentare. La cittadina si è spopolata e questo si nota.
C’è un bel cuore antico a Macomer che ho visitato soprattutto di notte, quando in giro non c’era più nessuno. Piccole case del tipico color scuro della pietra basaltica che caratterizza la zona. Ricordano i nuraghi disseminati nel verde della campagna circostante. Una chiesetta, vicoli e angoli affascinanti,la casa di un poeta cieco, Melchiorre Murenu, l’Omero del Marghine, dal nome della catena montuosa che ci circonda. Alcuni murales di Pina Monne con le tristi poesie del vate ed immagini campestri. Fuori dal piccolo centro tutto è un po’ più desolato, si sente l’abbandono e lo sconforto che si sta vivendo.
Arriviamo al Centro Studi Unla.
Questo è un luogo dei sogni per me. E’ il luogo dove trascorrerò la gran parte della settimana. Era una caserma e adesso al suo interno ci sono libri, computer, una mediateca, un palco, spazi per laboratori per bambini, una sala registrazioni, c’è anche una stampante 3d che da sempre stuzzica la mia fantasia. Tutto è colorato, allegro, vivo, accogliente, come i ragazzi che vi lavorano.
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